domenica 30 agosto 2015

L'AFFARE VIVALDI




L'AFFARE VIVALDI
di Federico Maria Sardelli
Sellerio
2015, brossurato
304 pagine, 14 euro.

"La storia della riscoperta dei manoscritti di Vivaldi è davvero andata così. Diversamente da quanto scrivono di solito i romanzieri alla fine del loro lavoro ('i personaggi narrati sono frutto della mia fantasia' o formule simili), io devo invece assicurare il lettore che i fatti narrati sono, in grandissima parte, realmente accaduti, e solo in pochi casi ho dovuto inventare personaggi o situazioni allo scopo di riempire il vuoto lasciato dai documenti". 

Così scrive Federico Maria Sardelli nelle sue esaustive "Note sulle fonti" in calce al libro. Documenti, si badi bene, che Sardelli ben conosce non soltanto per dovere di romanziere tenuto a informarsi sulla materia di cui intende scrivere, ma perché si tratta di uno dei massimi esperti dell'opera vivaldiana in quanto membro del comitato scientifico dell'Istituto italiano Antonio Vivaldi e responsabile del suo Catalago. Inoltre è direttore d'orchestra di fama internazionale con all'attivo numerose prime incisioni ed esecuzioni musicali. Il fatto che, a tempo perso, sia anche uno dei più geniali disegnatori e scrittori satirici de "Il vernacoliere" di Livorno non inficia, ma anzi accresce, i suoi meriti. Sembra quasi incredibile che un musicista del suo calibro sia anche l'autore di "Le più belle cartoline dal mondo" o de "I miracoli di Padre Pio" (due fra i più esilaranti titoli a sua forma) e io non ci volevo credere prima di aver avuto la fortuna di conoscerlo di persona, ma assicuro che è così. Sembra anche incredibile quello che Sardelli racconta nel suo romanzo a proposito dei manoscritti vivaldiani, contenenti centinaia di composizioni inedite rimaste sconosciute per oltre un secolo e mezzo, dopo la morte in povertà del "Prete rosso" (Vivaldi era un religioso e aveva i capelli color carota). Ciò che meraviglia non è tanto che il fratello del musicista, Francesco, abbia svenduto l'archivio del defunto Antonio per pagare i debiti, ma che di mano in mano un simile tesoro sia stato misconosciuto e ignorato per tanti anni e abbia addirittura rischiato di finire perduto per sempre, se non fosse stato per l'opera di alcuni benemeriti (tra cui spiccano Luigi Torri e Alberto Gentili), che, negli Anni Venti e nei due decenni successivi, invece di venire ricoperti di onori vennero addirittura perseguitati dal fascismo. 

Alcune pagine fanno male: quelle sulle leggi razziali, certo, ma anche quelle sul lascito da parte del bibliofilo Marcello Durazzo dei volumi vivaldiani ai padri salesiani del Collegio San Carlo a Borgo San Martino. Durazzo sperava di lasciare in eredità i suoi preziosi libri a qualcuno che sapesse valorizzarli e custodirli e i religiosi furono quasi infastiditi di dover ricevere una massa di carta invece di denaro e terreni e lasciarono tutto a marcire. Il racconto di Sardelli alterna avvenimenti di anni diversi passando dal Settecento al Novecento all'Ottocento assecondando un estro romanzesco supportato dalla citazione di testuali documenti. Nonostante l'autore non sia un romanziere di professione (e dunque gli manchi il mestiere di un John Grisham o di un Ken Follett che da questa materia avrebbero tratto un best seller), il libro si legge con il fiato sospeso dalla prima all'ultima pagina.

venerdì 28 agosto 2015

LE GANG DI NEW YORK





LE GANG DI NEW YORK
di Herbert Asbury
Garzanti
brossura, 2001
425 pagine, 10 euro


Una scritta in copertina avverte che si tratta del libro "che ha ispirato il film di Martin Scorzese", ed è vero. Però, va detto subito che non si tratta di un romanzo. E' un saggio. Estremamente avvincente, ma è un testo che oggi leggiamo come un libro di storia ma che quando fu scritto, nel 1927, raccontava quasi fatti di cronaca, tant'è vero che l'ultimo capitolo, il sedicesimo, intitolato "La scomparsa dei gangster" si conclude raccontando l'uccisione di un certo Little Augie, avvenuta il 16 ottobre di quello stesso anno. Le fonti che Asbury (uno dei più grandi giornalisti americani del secolo scorso, morto nel 1963) cita sono quasi tutte articoli di giornale e archivi di tribunali e della polizia. La parte più interessante, almeno per il sottoscritto, è comunque quella che racconta della prima metà dell'Ottocento, partendo in realtà dal riempimento del Collect (uno stagno che sorgeva alla periferia nord della New York di fine Settecento) su cui furono in pratica costruiti i Five Points. L'edificio simbolo è la Old Brewery, una fabbrica di birra dismessa che divenne il più celebre caseggiato della storia della città, lo stesso che si vede all'inizio del film di Scorsese, nelle cui viscere (un tempo depositi e magazzini) vivevano centinaia di persone stipate in condizioni di abbrutimento. La descrizione che Asbury fa, citando testimoni dell'epoca, della realtà quotidiana delle strade circostanti è impressionante. Chi legge il libro e poi si rivede il film riconosce mille particolari raccontati dall'autore, dal poliziotto che appende l'orologio a un palo della piazza certo di ritrovarlo (ma solo perché è colluso con i malavitosi), ai pompieri che lottano fra di loro invece di spegnere gli incendi, alla donna con i denti limati e fatti aguzzi che strappa gli orecchi a morsi e ne fa trofei sotto spirito, al bruto con la mazza su cui sono incise tante tacche quante sono state le sue vittime. La regola era che qualcosa apparteneva a qualcuno solo finché costui era in grado di difendersela, chi gliela portava via non commetteva una ingiustizia, dimostrava solo di essere più forte o più furbo. Impressionante anche la parte in cui si racconta della rivolta popolare conseguente alla coscrizione obbligatoria durante gli anni della Guerra Civile. 420 pagine che non lasciano indifferenti: certe atrocità sembrano medievali, ma risalgono davvero a un battito di ciglia fa.

giovedì 27 agosto 2015

PRINCE VALIANT (1937-1938)





PRINCE VALIANT
di Hal Foster
Primo volume (1937-1938)
edizioni ReNoir Nona Arte
2013, 110 pagine, 
cartonato, euro 24,90 

Grande formato, tutto a colori, carta che cromaticamente dà l'effetto dell'edizione originale sui domenicali americani. Si tratta della nuova traduzione curata da Graziano Romani, che finalmente rende ragione dei testi in inglese in precedenza non italianizzati nel migliore dei modi. Di Romani è anche la traduzione dell'apparato critico iniziale, che offre due saggi molto interessanti: il primo, è la biografia di Harold Rudolf Foster (1892-1982, anni anagrammati) scritta da Brian M. Kane; il secondo, una lunga e rara intervista con lo stesso Foster (autore schivo che quasi mai rilasciò dichiarazioni), di Fred Schreiber. Già queste pagine, riccamente illustrate con foto e disegni, varrebbero il prezzo del volume. Poi però comincia la magia di una saga destinata a durare dagli anni Trenta fino ai giorni nostri (nel 1980 apparve l'ultima vignetta scritta da Foster, ma altri autori, per volontà del creatore, hanno proseguito la serie fino a oggi). Qualcuno potrebbe ritenere che in realtà Foster più che un fumettista sia uno straordinario illustratore, ma sarebbe sbagliato non considerare la sua opera parte della storia del fumetto, perché la mancanza dei balloon e il ricorso sistematico alle didascalie è una precisa scelta stilistica (il disegnatore non voleva che le nuvolette ingombrassero i suoi sfondi o disturbassero le azioni). Le vignette consequenziali di Foster, minuziose nei dettagli, raccontano una storia e caratterizzano personaggi secondo le regole del fumetto, balloon esclusi. Prima del Prince Valiant, l'autore aveva disegnato Tarzan, su testi altrui: ritenendo che le sceneggiature su cui lavorava fossero scadenti, si decise a lavorare su storie proprie, basate su una incredibile e certosina opera di ricerca e documentazione sull'epoca di Re Artù, e sui castelli medievali (argomento su cui Foster ha finito per essere un esperto). Ai nostri occhi di lettori del Ventunesimo secolo, le prime tavole di Prince Valiant possono sembrare datate (oggi racconteremmo le stesse, avvincenti avventure in modo diverso), ma non serve valutare l'opera di Foster nel contesto del suo tempo per apprezzarla: le tavole della saga sono comunque affascinanti e intriganti al massimo grado. Ne veniamo rapiti e non ne usciamo più. Qua e là si colgono vignette che danno un senso di deja vu: ci rendiamo conto che sono servite da modello ad altri fumettisti che hanno scelto Foster come modello. Fu lui a studiare per primo, o tra i primi (un altro fu Alex Raymond), il modo di risolvere i problemi delle ombre, dei movimenti, della resa dell'acqua, e via dicendo. Tanto di capello al maestro dei maestri.

martedì 25 agosto 2015

LA CASA DEGLI SPIRITI






LA CASA DEGLI SPIRITI
di Isabel Allende
Feltrinelli, 1987 
368 pagine

Mi sono convinto della necessità di questa lettura dopo essere rimasto folgorato da “L’isola sotto il mare”, un romanzo molto più recente della stessa scrittrice (è del 2009, mentre “La casa de los espiritus” è del 1982), e la folgorazione si è ripetuta. Occorre preliminarmente sgombrare il campo da alcuni possibili equivoci. La Allende non è, come qualcuno pensa, figlia di quel Salvador, presidente cileno, che fu assassinato durante il colpo di stato militare del 1973: questi era solo il cugino del padre. Inoltre, “La casa degli spiriti” non è un romanzo autobiografico né parla soltanto degli avvenimenti di poco precedenti e susseguenti il golpe, che anzi occupano una parte non irrilevante ma neppure dominante nell’economia del racconto. Infine, il punto di vista “politico” della narrazione è efficacemente bipartisan nel senso che il personaggio principale, Esteban Trueba (seguito dalla sua gioventù fino alla morte, da vecchio novantenne) è un conservatore di vecchio stampo, le cui idee di destra sono maturate alla luce dell’esperienza di chi si è fatto da solo e ha creato una grande ricchezza personale grazie al proprio duro lavoro e alla capacità imprenditoriale, il quale però ha una famiglia (figli e nipoti) di orientamento diverso, di sinistra, e dunque tutti gli aspetti della vita sociale ed economica vengono visti e discussi in modo dialettico, e spesso anche drammaticamente conflittuale, ma il dibattito continuo non si interrompe mai. Con una felice intuizione, la Allende non fa lo sbaglio di dipingere come il male assoluto una parte politica e come il bene indiscusso la parte opposta, ma mostra come gli errori e le incomprensioni degli uni e degli altri abbiano portato alla nascita di un orribile mostro: la dittatura militare, che diventa l’avversario comune di tutta la famiglia Trueba, Esteban compreso, che vede traditi i suoi ideali, pur essendo egli ferocemente anticomunista. Il romanzo, ricco e complesso, non si risolve però in questa analisi “ideologica”. Al contrario, “La casa degli spiriti” è un libro dalle mille suggestioni e sfaccettature, e dai tanti personaggi che contribuiscono a dar vita a un affresco coinvolgente e affascinante, che si snoda dall’inizio del Novecento fino alla metà degli anni Settanta. Oltre a Trueba, iracondo e volitivo, un’altra figura portante è quella di sua moglie Clara, dotata del potere della preveggenza e della capacità di parlare con i fantasmi, ma indimenticabile è anche la loro figlia Blanca, protagonista di una travolgente storia d’amore con un contadino della tenuta del padre, “Le tre marie”, Pedro Terzo Garcia, divenuto musicista e acceso comunista e per questo odiato da Esteban, fino alla catarsi finale di un abbraccio fra i due. Alba, nata da Blanca e da Pedro, è invece innamorata di un rivoluzionario, Miguel, finito nella lista nera dei golpisti: appunto per questo la ragazza viene strappata al nonno, che cerca invano di difenderla, e condotta in un carcere segreto della polizia politica, dove subisce le torture più crudeli. Le vicende di questi personaggi si intrecciano, ovviamente, con quelle di molti altri. E alla fine, se ne esce commossi e arricchiti.

domenica 23 agosto 2015

UNA VACANZA SAMMARCELLINA NEI DIPINTI DI LUIGI PIRANDELLO



Daniela Fratoni
Renata Marsili Antonetti
Vittoria Nesi

UNA VACANZA SAMMARCELLINA 
NEI DIPINTI DI LUIGI PIRANDELLO

Comune di San Marcello Pistoiese
2001, spillato
40 pagine, p.n.i.

Ho l'abitudine, su questo spazio (che del resto è personale) di segnalare anche i testi che riguardano le montagne dove sono nato, tuttavia la pubblicazione su cui dirò qualche parola potrebbe indubbiamente interessare più persone di quanto ci si può aspettare da opuscoli di argomento locale. Infatti, protagonista delle pagine di questo spillato è Luigi Pirandello, il quale trascorse l'estate del 1914 in villeggiatura a San Marcello Pistoiese (mio luogo natale). Renata Marsili Antonietti, nipote dello scrittore, spiega in un suo saggio che brilla per sintesi e chiarezza, com'è che Pirandello giunse proprio in quel luogo: suo fratello Giovanni aveva sposato una ragazza di Cutigliano, un borgo vicino. Trattandosi di località fresche ed amene, ecco il commediografo giungerci in vacanza con un discreto numero di parenti. Il soggiorno è proficuo: Pirandello dipinge alcuni quadri a olio (tutti riprodotti nella pubblicazione), che rendono ragione di un suo certo talento anche come pittore e testimoniano l'aspetto di San Marcello all'inizio del Novecento, ma non solo, scrive anche una novella, "La Rosa", che sembra ambientata proprio sulla montagna pistoiese. Daniela Fratoni e Vittoria Nesi analizzano infatti il testo del racconto (pubblicato su "La lettura" nel novembre del 1914) e trovano puntuali corrispondenze di luoghi descritti e di nomi di persona con la realtà sammarcellina di quegli anni. Naturalmente la novella è pubblicata insieme alla disamina e a molte foto del borgo montano scattate proprio all'epoca della visita di Pirandello.  Due dei mie nonni della vicina Gavinana, seppur bambini o giovanissimi, avrebbero potuto persino aver incontrato l'illustrate villeggiante.

venerdì 21 agosto 2015

SILENZIOSI NELLA NOTTE



Antonio Zamberletti
SILENZIOSI NELLA NOTTE
Todaro Editore
brossurato, 2008
296 pagine, 14.50 euro

La mia copia di "Silenziosi nella notte" si fregia anche di una dedica autografa dell'autore, dato che, in ambito zagoriano, io sono il suo editor. Antonio Zamberletti è, infatti, l'ultimo acquisto in ordine di tempo nella pattuglia degli sceneggiatori dello Spirito con la Scure. Ha già completato una prima storia e ne sta terminando un'altra. E' giunto in Bonelli forte della sua esperienza di giallista (tre titoli pubblicati) e di autore di fiction televisive. Si tratta senza dubbio di uno scrittore di razza. A me hanno affidato il compito di fargli prendere confidenza con la sceneggiatura fumettistica, perché non è automatico che chi scrive per il piccolo schermo o pubblica libri conosca anche tutti i trucchi del mestiere del comic writer. Antonio si è dimostrato un buon allievo, nel senso che non si è mai dato arie da artista della penna ed stato attento a recepire tutti i miei consigli. E' dunque con curiosità che mi sono accinto a leggerlo come romanziere. 

Antonio Zamberletti

"Silenziosi nella notte" (il titolo prende in prestito il motto di un plotone di soldati italiani in missione all'estero) è il terzo romanzo con protagonista Vincenzo Torres, un investigatore privato attivo nella Milano dei giorni nostri, una sorta di Philip Marlowe, nei pregi e nei difetti. E' un tipo tosto e tenebroso, duro e spiccio, con un passato pieno di fantasmi e una determinazione inarrestabile, solitario e senza affetti - però, appunto per questo, finisce per assomigliare un po' troppo allo stereotipo del private eye. Ciò che rende particolare Vincenzo Torres sono i suoi trascorsi nell'esercito (ha partecipato a varie missioni cosiddette "di pace") prima e nella polizia poi. Durante queste esperienze ha visto cose che noi umani non potremmo immaginare. Gli sono morti amici, ha partecipato a scontri a fuoco, sa usare armi da guerra, conosce gli scenari delle zone calde del mondo e ha amici e nemici tra i reduci e i riciclati. Le storie di cui Torres è protagonista vedono perciò muoversi sulla scena mercenari, trafficanti di droga, spie internazionali, poliziotti corrotti, infiltrati, mafiosi. Non si tratta di gialli patinati in cui l'investigatore indaga senza sporcarsi le mani. "Silenziosi nella notte" vede Torres cercare di scoprire perché è stato ucciso il Duca, un ex pilota di aerei militari, un tempo impiegato nei bombardamenti in Serbia. La storia è dura e coinvolgente. Tuttavia, vista appunto la durezza, non ci si può fare a meno di chiedere se davvero i nostri soldati in giro per il mondo abbiano fatto o visto le cose di cui Zamberletti ci racconta, se sul serio i nostri poliziotti e carabinieri siano i tipi tosti che ci descrive. Purtroppo siamo abituati a considerare gli scenari internazionali come adatti a un certo tipo di fiction e dunque non ci sono problemi a sospendere l'incredulità sulle vicende ambientate nei bassifondi di New York o di Mosca. Se la stessa storia si svolge a Quarto Oggiaro o a Melegnano (là dove le indagini conducono appunto Torres) ci viene quasi arricciare il naso, chissà perché.


giovedì 20 agosto 2015

1Q84

1Q84 
di Haruki Murakami 
in due volumi Einaudi, 2011 e 2012, 
720 pagine il primo,
400 il secondo

L’autore, nato a Kyoto nel 1949, è probabilmente lo scrittore giapponese più letto nel mondo. Che abbia la grande capacità di farsi leggere con estrema piacevolezza è, in effetti, indubitabile. Tuttavia, al termine della lunga lettura dei due tomi di “1Q84” (tre libri in origine in Giappone), non riesco dare un giudizio sull’opera. Non so, cioè, se consigliarla (probabilmente sì) e se parlarne bene o male (probabilmente bene), anche perché, soprattutto, non credo di aver capito fino in fondo di che cosa si tratta. Alla fine dell’ultima pagina, il mio primo pensiero è stato: “non può essere finito, ci deve essere un seguito che spieghi tutto”. Invece, del seguito non ho trovato traccia. E tutto questo, si badi, di fronte a uno scrittore che è spiegazionista al massimo: i suoi personaggi riflettono su ogni accadimento, esteriore o interiore, che li riguardi, spaccando il capello in quattro. Tutte le ipotesi vengono valutate, e non si procede nella narrazione se ogni aspetto non è stato presentato mettendo in tavola le carte che lo riguardano. Anche se, però, alla fine bisogna fare degli atti di fede: per esempio, la protagonista femminile del romanzo, la killer Aomame, resta incinta senza aver avuto nessun rapporto sessuale e si convince di aspettare un figlio da un uomo, Tengo, che non vede da vent’anni e che fu suo compagno di scuola alle elementari, e di cui ritiene di essere innamorata per il ricordo che ha di una stretta di mano che si scambiò con lui da bambina. Haruki, giustamente, fa tutte le riflessioni del caso sulla gravidanza, escludendo che possa aver avuto origine in qualunque altro modo più logico e razionale, e quindi si rassegna ad accettare, come chiede di fare ai lettori, che Aomame abbia ragione: se lei è convinta che Tengo sia il padre della misteriosa “piccola cosa” che ha in grembo, vuol dire che è così. Di episodi del genere il libro è pieno, e per ciascuno mi sarei aspettato una spiegazione, pur fantastica. Non è stato così.

Non è facile (ma neppure difficile, perdurando anche in questo l’indeterminatezza) riassumere il romanzo. Siamo in Giappone nel 1984. Musami Aomame è una killer “a fin di bene” che si incarica di eliminare, per conto di una organizzazione sponsorizzata da una ricca signora, gli uomini che usano violenza alle donne e che la Giustizia dello stato non è in grado di punire. Improvvisamente, trovandosi a dover passare attraverso un varco che permette di uscire, a piedi, dal raccordo autostradale in cui si è trovata imbottigliata sul taxi, Aomame si rende conto di essere finita in un mondo parallelo, molto simile al nostro ma con alcune significative differenze, la più eclatante delle quali è la presenza di due lune. La killer chiama il nuovo mondo 1Q84, in cui il Q significa 9 (in giapponese, “kyuu” significa sia la lettera dell’alfabeto che il numero) ma anche “question mark”, o punto di domanda. Si ricorda però di aver letto un romanzo fantastico di grande successo, “La crisalide d’aria”, in cui una giovane scrittrice, una diciassettenne alla prima esperienza, Fukaeri, aveva narrato appunto di una Terra con due satelliti. Fatto sta che il libro è solo in parte opera di Fukaeri, perché la ragazza è dislessica e non è in grado di dare alle sue opere la cura letteraria in grado di renderle pubblicabili: l’editore le ha così affiancato un ghost writer, Tengo Kawana, insegnante di scuola solitario e complessato, vittima di una figura paterna problematica (anche se lui ritiene che l’uomo non sia il suo vero padre naturale), che vegeta in coma in un ospedale. Nel romanzo di Fukaeri si racconta di misteriose creature chiamate “Little People” che riescono a penetrare nella realtà attraverso varchi dimensionali, e tessono crisalidi di fili d’aria solidificata al cui interno si materializzano bambine dagli strani poteri, tra cui quello di far giungere le loro voci al capo di una setta religiosa segreta denominata Sakigake. Il potere della setta (che sembra plagiare le menti degli adepti, che vivono in una comunità isolata dal mondo) sembra dipendere dalle voci dei Little People, tant’è vero che quando la bambina che ispirava il Leader fugge, gli agenti dell’organizzazione cercano in tutti i modo di ritrovarla. La bambina in questione sembra essere, a un certo punto, la stessa Fukaeri, che dunque nel romanzo avrebbe raccontato non una storia inventata, ma la realtà da cui è fuggita. E da cui continua a fuggire, perché dopo aver vissuto nascosta presso il professor Ebisuno che la protegge, per un certo periodo si rifugia anche a casa di Tengo, prima di svanire nel nulla. Con Tengo ha, in effetti, uno strano e fugace rapporto sessuale. Il che fa pensare che Aomame sia a sua volta Fukaeri in un’altra realtà, visto che la killer risulta fecondata dal seme raccolto dalla scrittrice. Non si sa bene come e perché, anche Tengo finisce nell’universo 1Q84 e comincia a vedere due lune, mentre Aomame viene incaricata di uccidere il Leader della Sakigake. Leader che però accetta volontariamente la morte, mentre i suoi agenti cominciano a dare la caccia all’assassina, usando anche il detective privato Ushikawa. Costui, uomo dal corpo deforme ma dalla grande intelligenza, si rende conto di poter trovare Aomame seguendo Tengo, dopo aver scoperto che questi è il ghost writer de “La crisalide d’aria” ma è anche un vecchio compagno si scuola della ragazza di cui è a caccia. Attraverso varie vicissitudini, è proprio Ushikawa a far rincontrare nel mondo 1Q84 Amomame (incinta) e Tengo. I due, scopertisi innamorati a trentenni così come lo erano a dieci anni, ripercorrono in senso inverso il varco dimensionale del raccordo autostradale e si ritrovano in un mondo con una sola luna. Che sia proprio quello di partenza, cioè il 1984, non è certo. Tuttavia, la minaccia della Sakigake sembra scongiurata. Fine del racconto.

I punti insoluti non si contano, a partire dalla “piccola cosa” nel ventre di Aomame per arrivare alla spiegazione di chi siano e che cosa vogliano i Little People. Nonostante questo, la lettura è ipnotica: ma è proprio il fascino del racconto a far venire voglia di una soluzione più convincente al grande e complesso enigma narrativo messo in piedi dallo scrittore. E’ evidente l’omaggio a George Orwell, così come è chiaro che tutto si può leggere in chiave metaforica e allusiva. Si tratta di un romanzo simbolico che allude all’atto stesso della creazione letteraria: dalla “crisalide d’aria” escono creature che fanno “sentire le voci” e aprono varchi fra le dimensioni. Però c’è anche una allusione alla ricerca dell’amore, spesso impossibile perché lui e lei vivono in mondi separati e ci sono barriere da oltrepassare per riuscire a trovarsi anche se si abita a pochi metri di distanza. Grande complessità, grande fascino, grande letterarietà, grandi dubbi. Con il risultato di sentirsi un po’ scemi e ammettere: “non ho capito”.

mercoledì 19 agosto 2015

LIMIT




Frank Schätzing
LIMIT
Editrice Nord
2010, cartonato
1380 pagine, 23.50 euro

Lo confesso: è stata un’impresa e anche un po’ una fatica arrivare in fondo alle quasi 1400 pagine scritte fitte fitte di “Limit”. Anche per un lettore veloce come me, ci sono voluti tempo e concentrazione. In fondo al tomo c'è un dizionario dei personaggi principali, giusto per non far perdere il filo ai più distratti, e ci sono novantacinque nomi. Lo scrittore a cui mi sento maggiormente di avvicinare Schätzing è Michael Chrichton, per il suo saper disegnare scenari futuribili che trovano le loro radici già nel presente. Ma forse, allora, potremmo anche accostarlo a Jules Verne. L'azione è ambientata nel 2025, in un mondo che sta per esaurire le riserve di petrolio ma pare prospettarsi una alternativa: l'elio-3 (un isotopo dell'elio), che l'assenza di atmosfera ha consentito di accumulare nella regolite (la polvere che copre il suolo della Luna). Sia gli Stati Uniti che la Cina hanno installato basi minerarie sul nostro satellite e scavano la regolite: i contrasti per lo sfruttamento dei giacimenti stanno conducendo i mondo a una nuova Guerra Fredda e sull'orlo di un conflitto mondiale. Le miniere lunari sono state rese convenienti grazie all'invenzione di un "ascensore" verso lo spazio ideato dalle industrie Orley: si tratta di un lunghissimo cavo costruito con una particolare fibra di carbonio, che collega una stazione orbitante a un'isola equatoriale terrestre, lungo il quale salgono e scendono carichi diretti verso la Luna. Il principio con cui funziona l'ascensore è lo stesso del lancio del martello nelle gare di atletica: la terra ruota, il cavo si tende, la stazione orbitante è il peso che lo fa tenere in tensione grazie alla forza centrifuga. Tutto ciò sembra fantascienza, ma soltanto in parte lo è: si tratta di idee su cui davvero gli scienziati stanno lavorando, esattamente come nel caso di "Jurassic Park", in cui si delineavano scenari alla portata della moderna tecnologia genetica. Julian Orley, il magnate visionario che ha costruito l'ascensore, intende sfruttare la Luna anche come meta turistica e ha costruito nelle vicinanze del Polo Nord addirittura un albergo, che inaugura portandoci in visita un gruppo di VIP, tra i quali alcuni che spera di far diventare suoi soci. Intanto, sulla Terra, a Shangai, un detective privato, Owen Jericho, incaricato di ritrovare una studentessa scomparsa, scopre per caso gli indizi di un complotto contro Orley e contro la base estrattiva americana. Un complotto, a detto, complicatissimo e degno di una spy story, in cui entrano in gioco mercenari, dittatori africani, killer cinesi e chi più ne ha più ne metta. Il finale è sorprendente, e tutta la trama sembra pronta per farne un filmone. Ogni capitolo, sia quelli ambientati sulla Terra che sulla Luna, propone scenari intriganti riguardo alla tecnologia del prossimo futuro, allo sviluppo delle dinamiche sociali, alla geopolitica del prossimo decennio. Peraltro, la fine delle scorte di petrolio non è uno scenario particolarmente fantastico: è la realtà che stiamo vivendo. Personalmente ho apprezzato di più le parti del romanzo che si svolgono sulla Luna, meno quelle terrestri, soprattutto le pagine che hanno per sfondo la Cina, divenuta una superpotenza caotica. Certo, che se Schätzing fosse riuscito a comprimere la sua complicata storia nella metà delle pagine, sarebbe più facile per tutti arrivare in fondo.

martedì 18 agosto 2015

POESIE RITROVATE



Giovedì 6 agosto, a Gavinana (PT), ho presentato, in una affollata piazzetta sotto il campanile delle pieve,  un mio nuovo libro: la raccolta commentata di oltre cento “poesie ritrovate” del poeta Giuseppe Geri. A questo autore, che si firmava “Geri di Gavinana”, avevo già dedicato un altro lavoro, "Il poeta delle piccole cose"). Le liriche sono state lette dall’attore Bruno Santini, applauditissimo dal pubblico. Della serata, Marco Ferrari ha fatto un esaustivo resoconto sulla rivista on line “Linee Future”, e ovviamente ne hanno parlato i giornali e le TV locali.

Il titolo “Poesie Ritrovate” fa riferimento al fortunato caso che ha messo a mia disposizione, e a disposizione di tutti, tre grossi quaderni contenenti alcune centinaia di composizioni inedite del cantore montanino. Si tratta di un tesoro di poesia ma anche e soprattutto di umanità, di sentimenti, di emozioni e di memorie. Memorie di un uomo ma anche di un territorio, di un’epoca, di una identità culturale. Per quanto le opere del Geri siano note soprattutto in ambito locale, non soltanto sulla montagna pistoiese ma anche in Garfagnana dove visse a lungo, lo spessore letterario e artistico della sua produzione trascende di gran lunga i limiti in cui si è diffusa e raggiunge valore universale. 

Giuseppe Geri nacque a Gavinana (nel come di San Marcello, in provincia di Pistoia) il giorno di Ognissanti del 1889. Frequentò soltanto la terza elementare, per il resto fu completamente autodidatta. Fu un “poeta operaio” e poi un “poeta pensionato”. Lavorò nelle officine di Limestre fino agli anni Trenta, poi per motivi aziendali fu costretto a trasferirsi a Fornaci di Barga, in provincia di Lucca. Fece spesso ritorno a Gavinana, quando il lavoro glielo permetteva, e anche a Fornaci non mancò di conquistare la simpatia degli abitanti del luogo, continuando a poetare nella sua nuova casa. Nel suo paese d’adozione fu così stimato e considerato che gli è stata dedicata persino una via.

Geri non si sposò mai, e scrisse di considerare la “musa” come una moglie e i suoi sonetti come dei figli. Morì nel 1975, e come aveva chiesto tornò a Gavinana per esservi sepolto.  Dotato di un innato senso metrico e di fresca inventiva poetica, durante tutta la vita scrisse poesie, rispondendo a un bisogno insopprimibile del suo animo. In una composizione dedicata al romano Trilussa, il pistoiese scrive: 

E pure sento anch’io, signor Trilussa,
quest’arte come un impeto divino
che tante volte all’anima mi bussa.


Luigi Russo

Alcune di queste composizioni vennero fatte leggere, all’inizio degli anni Venti, al critico letterario siciliano Luigi Russo (1892-1961), noto per i suoi studi sul Metastasio, professore universitario a Firenze e poi direttore della Scuola Normale di Pisa. Al Russo, che trascorreva sulla montagna pistoiese molti dei suoi momenti di vacanza, non sfuggirono del doti del poeta illetterato e si impegnò per promuovere la pubblicazione delle sue composizioni in una silloge intitolata “Fiori di bosco”, edita da Vallecchi nel 1929. In seguito, quando il professore compilò alcune sue antologie di poeti italiani a uso degli studenti delle scuole medie e superiori, non mancò di inserire qualche lirica del gavinanese. Commentando la propria presenza accanto a quella di figure quali Pascoli o D’Annunzio nel florilegio intitolato “L’ora mattutina”, Giuseppe Geri scrive:

Fra tutti quei colossi
io qui ci rappresento
come se non ci fossi
o edera aggrappata a un monumento.


Dopo “Fiori di bosco”, le poesie del cantore montanino comparvero su varie riviste e furono anche diffuse attraverso un intenso carteggio con letterati di tutta Italia. Sarebbero auspicabili studi accademici che approfondissero questi aspetti. Instancabile, comunque e soprattutto, fino al giorno della morte del poeta, la sua distribuzione di testi consegnati a mano a tutti quanti lo circondavano, a Gavinana come in Garfagnana. Una caratteristica del tutto singolare del modus operandi del Geri era, appunto, quello di scarabocchiare poesie improvvisate su foglietti di carta volanti, che poi il poeta regalava agli amici e, talvolta, anche agli sconosciuti. Alcuni venivano recuperati, e ci fu chi cominciò a raccoglierli e a batterli a macchina. Laura Tonietti, a cui si deve rendere merito per aver svolto questa attività, mise insieme circa 150 manoscritti. Proprio grazie alla raccolta dei foglietti affidati “al vento”, nel 1994 è uscito un libro postumo, a cura del Moto Club di Fornaci di Barga e di Milvio Sainati in particolare. “80 anni di poesia”, questo il titolo, si fregia anche di una prefazione di Gian Luigi Ruggio, all’epoca conservatore di Casa Pascoli a Castelnuovo. Nel 2012 è toccato al sottoscritto l’onore e l’onere di raccogliere una selezione delle cose migliori (almeno a mio giudizio) pubblicate nei due libri precedenti, in una antologia edita dall’Associazione Achilli di Gavinana e intitolata “Il poeta delle piccole cose”, corredato da un saggio critico a mia firma. Adesso, giunge il nuovo volumetto e che si deve, appunto, al ritrovamento di numerose altre composizioni inedite. 

Così riferisce l’accaduto Marco Ferrari, autore di un articolo uscito nel luglio 2015 sulla già citata rivista online “Linee Future”, che si occupa di cronaca pistoiese: “Sono emersi dal passato e si sono materializzati quasi per magia fra le mani di Roberto Geri, nipote di quel Geri di Gavinana conosciuto e ricordato da tutti in paese come il Poeta. Si tratta di tre manoscritti contenenti poesie per lo più inedite. Quaderni vergati a mano di cui si era persa la memoria e si ignorava l’esistenza. Grande è stata quindi l’emozione provata dal nipote Roberto nello sfogliare e leggere, non senza incredulità e commozione, le poesie dello zio risalenti a più di ottanta anni fa, e nel realizzare l’importanza del ritrovamento fatto”. 

Roberto Geri, dal canto suo, racconta: “Nell’aprile dello scorso anno, nel corso di lavori fatti nella casa di Gavinana, mi sono trovato nella necessità di spostare il baule dei ricordi dello zio, in cui tuttora sono custoditi gelosamente i libri a lui appartenuti. Un baule pesante. Per spostarlo si è reso necessario aprirlo e svuotarlo. Un’operazione fatta altre volte nel passato, ma questa volta è stato diverso. Il caso, il destino, o forse lo zio, di cui ricorrono i quaranta anni della dipartita, ha voluto che il mio sguardo si posasse, prima su uno, poi sul secondo e infine sul terzo, di quelli che a prima vista sembravano degli anonimi registri contabili, adagiati sul fondo del baule. Li ho tolti, impilati uno sopra l’altro, e posati sulla pila di libri che nel frattempo si era formata sul pavimento. Uno di questi, inavvertitamente è caduto e aprendosi, ha mostrato il suo contenuto. Se non mi fosse scivolato dalle mani, sicuramente non sarebbe mai stato aperto. Nell’atto di raccoglierlo e di chiuderlo, l’occhio si è posato sulla pagina aperta. Ho indugiato, la vista a quest’età è quella che è. Ho cercato di mettere a fuoco la scritta e ho letto, cosa strana, e forse non del tutto casuale, il titolo di una poesia: Il destino. Ho iniziato, distrattamente a sfogliare il libro dei conti, ma non c’erano numeri, né somme o sottrazioni, ma parole, versi, rime e poesie. Una dopo l’altra, pagina dopo pagina. La voce mi si è increspata e la vista mi si è fatta ancora più annebbiata. Ho chiamato mia moglie perché mi portasse gli occhiali da lettura”.

Roberto Geri
A questo punto Roberto Geri si rende conto che i tre quaderni sono pieni di poesie scritte a mano dallo zio Giuseppe, in gran parte materiale inedito. Si tratta di tre grossi manoscritti rilegati, grossomodo formato protocollo, ciascuno contenente circa cento composizioni. Sulla copertina dei primi si legge, scritto a mano:

Poesie di Giuseppe Geri
Gavinana
1925 (1)

Geri di Gavinana
Malinconie
1932 (2)

Sulla copertina del terzo non c’è alcuna scritta, ma subito all’interno leggiamo:

1943 (4)
e nella pagina successiva:
Geri di Gavinana
I canti di un montanino (titolo cancellato)
Sulle rive del Serchio (titolo definitivo)

Sembra evidente che manchi un volume (3). Non resta che sperare in un successivo ritrovamento.

L'annotazione con il numero (4) sul terzo volume



Alcuni mesi di lavoro hanno permesso a chi scrive (a cui sono stati affidati in prestito i quaderni) di selezionare le composizioni contenute in questa antologia, essendo necessaria una scelta per motivi di spazio. Il criterio seguito è stato quello di non pubblicare le composizioni già note, anche quando se ne riscontrano versioni alternative con varianti più o meno notevoli (soprattutto nel primo quaderno ci sono molte poesie finite poi in “Fiori di bosco”, ma con versi diversi rispetto a quelli conosciuti). Tolto il materiale già edito, si sono scartate le poesie con riferimenti a persone e a fatti contingenti della vita privata del Geri, non immediatamente comprensibili, così come le tante “lettere in rima” con cui il gavinanese era uso scrivere ai suoi amici o corrispondenti, contenenti spesso ringraziamenti per favori o regali ricevuti o inviti a incontri conviviali. In presenza di opere di argomento molto simile (come l’alternarsi delle stagioni o il rimpianto della gioventù perduta) ho scelto di selezionare il componimento più rappresentativo. Sono stati privilegiati i testi più attuali e universali, quelli che possono parlare ancora oggi a tutti noi (il Geri, comunque, non ha perso niente della sua freschezza). Qualora l’interesse dei lettori lo richiedesse, esiste materiale sufficiente per riempire sicuramente altri libri come questo. 

Mi sento in dovere di segnalare che, trattandosi di testi manoscritti compilati in modo evidentemente frettoloso, pieni anche di cancellature e correzioni, ho ritenuto di dover intervenire qua e là per restituire ai versi la punteggiatura mancante o la sillaba sfuggita. Del resto, la presenza di versioni alternative (presumibilmente precedenti) di testi già noti fa ipotizzare che prima della pubblicazione a stampa di “Fiori di bosco” il poeta abbia rivisto e perfezionato i suoi lavori, forse indirizzato dallo stesso Luigi Russo. Dunque lo stesso tipo di ripulitura e di aggiustamento si è reso necessario anche per la raccolta che state per leggere. I quaderni del Geri restano comunque a disposizione, custoditi da Roberto Geri, per chiunque voglia studiarli o curarne una migliore e più completa edizione.


L’esame dei manoscritti permette di ricostruire un quadro più vivido e completo della vita del poeta, rispetto alle informazioni già note. Ci sono per esempio annotazioni dell’autore riguardo a certe composizioni da lui lette personalmente in alcune circostanze pubbliche (per esempio è rintracciabile una poesia dedicata alla località di Maresca, recitata dallo stesso autore nel teatro di quel paese), oppure relative alla pubblicazione di alcuni versi su quella o quell’altra rivista. Interessanti i testi che testimoniano avvenimenti storici o fatti di cronaca, come l’imperversare della “spagnola”, gli scontri fra “rossi e fascisti” o il primo avvento della radio.

"Una riconciliazione tra rossi e fascisti"
Le opere radunare in questo volume confermano quel che sappiamo su un aspetto importante della personalità dell’autore: il doppio registro della sua produzione, basata sull’alternarsi del comico e del malinconico. L’arguzia e l’umorismo di molte composizioni non devono far pensare al Geri come a un personaggio ilare, ma mascherano in realtà il suo eterno male di vivere (il che lo rende ancora più attuale e contemporaneo). Tuttavia il suo naturale sense of humor stempera l’amarezza della sua inquietudine.

In alcune poesie il poeta fa riferimento ai libri contenuti nella sua biblioteca e di cui lui amava leggere qualche pagina ogni sera, almeno finché gli occhi gli restavano aperti. Nonostante non mancasse mai di sottolineare il fatto di essere “senza scuola” e di non poter competere con i più colti di lui, tuttavia elenca gli autori di cui conosce le opere, come il Pascoli (ammette in un verso di sentirsi “pascoliano”), il Prati, il Tasso, Trilussa, il Fusinato.

Testimonia il Russo: «Ebbe amicizie con villeggianti di un qualche nome o fama, Cadorna, Michelangelo Billia, Carlo Delcroix, a cui prestò devozione di compagnia». Scrive ancora il critico: «L’autore è un operaio di Gavinana, che lavora nelle officine di Limestre, laggiù vicino a San Marcello Pistoiese. Se andate a Gavinana, insieme col Crocicchio, Pian de’ Termini, Rio Apiciano, Ferruccio, il Monumento, dopo i primi giorni che siete arrivato lassù, sentirete discorrere del Poeta. “Quello è il Poeta!” vi diranno premurosi i paesani, a stuzzicare e come a secondare la vostra curiosità di uomini libreschi. E vi indicano un giovane, che sale verso la quarantina, asciutto, con le mascelle serrate, con la fronte stempiata e lucida e bruna di sole, e con l’aria un po’ raccolta e un po’ trasognata, propria ai taciturni camminatori di questi monti. Vi provate a discorrerci: grande timidezza, brevità e imbarazzo di parole, che pure escono all’aria, sfiorate da un lieve palpito di arguzia. Si avverte subito la spiritualità e sincerità dell’uomo».



Se volete procurarvi il libro (costa 10 euro), scrivete o telefonate all'Associazione Musicale e Culturale Domenico Achilli – Piazzetta Aiale, 24 – 51028 Gavinana (PT) – Tel: 0573 66057 – Email: associazione.achilli@gmail.com

Quella che segue è un una brevissima scelta di alcune delle opere ritrovate del Geri.


Geri di Gavinana
POESIE RITROVATE

A una nuvola

Nuvola pellegrina
che vai raminga nell’oscurità,
dimmi: che porti? Quale novità?
Porti tempesta, grandine o la brina?
Dimmi, vieni dal mare?
Porti la pioggia o vento?
O nuvoletta, tu mi fai spavento,
cammina su nel ciel non ti fermare.
O forse cerchi l’altre tue sorelle?
Volete far vendetta?
O nuvoletta, vai, cammina in fretta,
cammina su nel ciel che c’è le stelle.



Un lutto

Vidi mia madre in lutto,
vidi mia madre in pianto,
ed io compresi tutto
del suo dolor, del pianto.

Mandò l’ultimo canto
la rondinella a sera,
vidi mia madre in pianto,
vidi una bara nera.



Le due sorelle

Io avevo due sorelle,
una bionda e l’altra mora,
tutte e due leggiadre e belle
e gentil come l’aurora.
Ma la bionda mi è sparita,
se ne è andata all’altra vita.
Mi hanno detto che lassù
più risplende il suo bel viso
dove è gioia ed è sorriso
ma non tornerà mai più.
E la mora sta lontana,
nella terra pascoliana.
Colgo e bacio il primo fiore:
il pensier quel bacio porta
su la viva e su la morta,
tutte e due lo stesso amore.

Giuseppe Geri di fronte alla sua casa

Nell’orto

Un noce, dei peri, un fiore appassito,
patate, fagioli adornano l’orto.
Non sono felice, ma pur mi conforto
all’ombra silente d’un pesco fiorito.
Mia madre mi guarda, sorride, ma mesta,
nel verde profondo del monte rimira,
mi chiama per nome, solleva la testa,
poi guarda nel cielo e sospira sospira…


Giuseppe Geri con i fratello Guido nel 1916


Il mio nome

Mi sento dir che son ricco d’ingegno,
che presto il nome mio verrà immortale:
non ci trovo fin qui nulla di male,
ma chi lo dice non darà nel segno!

Mi avessero provato nel disegno,
qualcosa avessi fatto di speciale…
per salir in alto, ci vorrebbe l’ale
e non la testa come me, di legno.

Forse perché dirò qualche strambotto
e scrivo qualche volta in poesia,
m’avranno preso per un uomo dotto.

Ma vi assicuro sulla fede mia
Appena so contar quattr’e quattr’otto.
Se questo basta, allora così sia…



Birichinate

Ero un ragazzo come tutti gli altri,
pieno di vita e pieno di clamore,
facevo per le strade anch'io rumore
come fan tutti i ragazzotti scaltri.

Tiravo sassi sulla banderuola,
azzoppavo ogni tanto una gallina,
saltavo volentieri la dottrina
e tante volte non andavo a scuola.

Andavo a nidi o pure a chiappar grilli,
(eran le cose a me più preferite),
mi arrampicavo sulla vecchia vite,
mandavo in casa dei sonori strilli.

Rompevo qualche pentola in cucina,
tribbiavo scarpe e non lavavo piatti,
mi divertivo a strapazzare i gatti
con tutta l'aria mia più birichina.

Poi mi ricordo quando la mia nonna
restava tutto il giorno a gola aperta
a chiamar “Peppe!” ed era cosa certa:
la facevo dannar, povera donna.





La radio

Si sente proprio gli uomini cantare,
tossire, bisbigliar, ripigliar fiato,
che vien per forza voglia di guardare
se dentro c’è qualcuno rimpiattato.
Chi parla dista più di mille miglia,
è cosa da destare meraviglia.

Pensar che con due fili e una cassetta
si sente quel che dicono a Milano:
se c'è al Teatro il ballo o l'operetta,
se parla in piazza qualche ciarlatano;
non da Milano sol, da mezzo mondo
si sente uno quando gira al tondo.

Io tante volte mi sbattezzerei
e dico: se si va di questo passo
un giorno o l’altro, ci scommetterei,
persino i morti si rivede a spasso.
Beati quelli che morranno allora,
che lo faranno sol per qualche ora.



Nostalgie paesane

Penso sovente alla mia casetta,
ai miei morti, lassù nel cimitero;
penso al crocicchio dall'aguzza vetta
dove salivo un dì gagliardo e fiero.
Penso agli amici con malinconia,
sento di Gavinana nostalgia.

È vero che non son tanto lontano,
ma non so quando potrò tornare.
Maturerà nei campi il biondo grano,
quant'acqua ancora scenderà nel mare!
Ritornerà la rondine alla gronda,
quando sarà per me l'ora gioconda?

Vorrei sentir cantare l'usignolo
nei boschi silenziosi di Batoni;
dove la sera tante volte solo
meditai versi per le mie canzoni;
vorrei vedere nella bella valle
ancora svolazzare le farfalle.

E queste grandi e piccole cosette
che per altri non hanno alcun valore,
io le conservo fra le mie dilette,
fra le memorie care del mio cuore;
mi lasciano nell'animo un rimpianto
e sgorga questo mio povero canto.




La bilancia

Perché venire al mondo,
perché restar tanti anni?
Chi mai chiese di nascere,
se non ci son che inganni?
Capisco che la vita
non è che una missione,
ma la bilancia pende
e senza paragone.

L'autografo de "Il gatto ne cassettone"


Il gatto nel cassettone

L'altra notte mi successe un fatto
che voglio raccontar, care persone.
Tutte le notti il mio signore gatto
se ne andava a dormir nel cassettone.

E io poggiai la sveglia sopra un piatto
ci misi un soldo per precauzione,
ché quando fosse l'ora dello scatto
facesse più solenne confusione.

Difatti all'ora che suonò la sveglia
il piatto, il soldo... fu un acciottolìo,
che il gatto, che dormiva, mi si sveglia

con la paura e fece un tal fottìo
per scappar fuori, che nel dormiveglia
ebbi paura più del gatto anch'io.

Fornaci di Barga


Novità?

Nulla di nuovo c'è qui nel paese,
se piove un giorno quasi sembra un mese,
se un giorno è bello poi quell'altro piove
quaggiù a Fornaci non ci son nuove.

La settimana dura quanto un anno,
ma gli anni son veloci e se ne vanno,
l'ore son lunghe e non passan mai
ma i giorni volan e questi son guai.

Così pian, piano, via di questo passo,
senza profitto, senza fare chiasso,
ti annoi, sbadigli, fai la tua partita
e come un lampo passa anche la vita.

Mi pare un sogno, e mi sembra ieri,
che aveo vent'anni ed eran giorni fieri,
ma già di tempo ne è passato tanto;
e sempre avanti, via, con questo canto,
si arriva al giorno della dipartenza:
per tutti passerà la diligenza.

Sei giovani gavinanesi negli anni Venti. Giuseppe Geri è in alto al centro con i baffi.


Il destino

Ognuno segue del proprio destino
tutta la strada che in terra ci addita,
così trascorre tutta questa vita,
sino a quel giorno che viene il becchino

Non si sa se sia lontano o sia vicino
e quando è l'ora di farla finita,
ma per giocare l'estrema partita
ci vorrebbe di fare l'indovino.

C'è chi cammina, chi sempre in vettura,
c'è chi va a piedi per pestarsi i calli,
chi ha la testa grossa e chi l'ha dura.

Ma viaggiare a piedi e sui cavalli
quando vien quella che ci fa paura
finiscono poi tutti i suoni e i balli.



Perché?

Perché la notte nel buio profondo
sono le stelle chiare e lucenti?
E l'usignolo canta giocondo
nei più soavi, gentili accenti?

Perché del pero, fra il verde e il biondo,
lenti i suoi rami muovono lenti?
E sul cipresso dal ciuffo tondo
tanti uccelletti stanno contenti?

E perché il cane dorme tranquillo,
guardia fedele vicino all'aia,
e perché l'eco senti di squillo?

Perché il gallo canta e il cane abbaia,
se stride forte nel prato il grillo
o suona il passo della massaia?

Giuseppe Geri negli ultimi anni della sua vita


Acqua passata

Or della gioventù perdo l' impronte
e crescono gli affanni coi pensieri,
ma quattro rime sono sempre pronte,
o bene o male spesso e volentieri.

Prima mi alzavo al limpido orizzonte
e camminavo i taciti sentieri
quando trovavo qualche fresca fonte
bevevo sempre senza usar bicchieri.

Ora per quelle vie più non cammino
mi sento stanco e poi ci vedo poco
e foro ogni momento e vo pianino.

Ma un giorno o l'altro cambierò loco,
farò amicizia stretta col becchino,
e finirà per sempre questo gioco.

Pasqua 30 marzo 1975
(ultima poesia nota)


lunedì 17 agosto 2015

S. - LA NAVE DI TESEO



J. J. Abrams e Doug Dorst
S. - LA NAVE DI TESEO
Rizzoli Lizard
2014, cartonato
472 pagine, 35 euro


Su “S.”, ovvero “La nave di Teseo”, si è scritto di tutto e il contrario di tutto. Leggendo le recensioni in Rete c’è di che divertirsi: i pareri sono opposti, tra chi grida al capolavoro e chi ne lamenta la noia mortale. Personalmente, sono del parere che di fronte a un’opera del genere siano secondarie le trame delle due storie parallele che si sviluppano dentro e fuori (o ai margini) del romanzo scritto dall’immaginario V. M. Straka. Sono più che convinto che sia il falso libro del 1949 (perfettamente riprodotto come oggetto d’antiquariato e proposto al lettore tale e quale ci si aspetta sia un volume ingiallito rubato da una biblioteca) sia le annotazioni ai margini scritte a penna, pennarello e lapis da due diverse mani, offrano indizi degni di approfondimenti in grado di portare a piani di lettura ancora diversi da quelli che appaiono a una prima lettura, e ci sarà chi vorrà studiare ogni dettaglio scoprendo che tutto può essere interpretato come un tassello di un puzzle da ricomporre senza avere sottomano il disegno complessivo. Tuttavia, qualunque sia o possa essere il gigantesco gioco a più livelli che gli autori ci sfidano a scovare, per quanto mi riguarda mi ritengo più che soddisfatto dal miracolo dell’oggetto in sé. 



Un prodigio di cartotecnica che appaga il bibliofilo che ama il libro in quanto tale, ovvero qualcosa da toccare, da palpeggiare, da sfogliare, da restituire più vissuto di quando lo si è ricevuto. “S. – La Nave di Teseo” è il libro perfetto: con le impronte digitali di chi lo ha posseduto, con le annotazioni scritte a mano, con i foglietti di appunti dimenticati fra le pagine e le cartoline usate come segnalibri. J. J. Abrams ha affermato che "il punto è proprio possederlo fisicamente”, e la mia soddisfazione nello sfogliarlo e risfogliarlo consiste anche nel gongolare pensando che non può esisterne una copia digitale. E’ vero che ne esiste una versione e-book ma, per ammissione degli stessi autori, l’esperienza che se ne ricava è del tutto diversa da quella dell’avere tra le mani un tomo dalle cui pagine può cadere a terra di tutto, perché è in questo che consiste la trovata geniale di chi lo ha realizzato: fornire ai lettori un falso perfetto di un vero libro su cui altre dita prima delle nostre hanno passato i loro polpastrelli vergando note e lasciando tracce. 



Ovviamente non è tutto qui: il romanzo che è alla base di tutto, “La nave di Teseo”, si può leggere come un racconto a sé stante, con tanto di introduzione che cerca di fare il punto sul suo enigmatico presunto autore, V. M. Straka. Allo stesso modo si può ignorare il testo principale e concentrarci solo sulle annotazioni a mergine delle pagine: quelle di due studenti universitari, Jennifer ed Eric, che si passano il volume fra di loro, inizialmente senza conoscersi né incontrarsi, e che si innamorano così. Però i due finiscono anche per scoprire un complotto riguardante appunto la vera identità di Straka, e il gioco in cui si invischiano si rivela pericoloso. Insomma, c’è di che divertirsi. Indubbiamente non è facile seguire i diversi piani di lettura e c’è da confondersi. Però, siccome la cosa è intrigante, ci si riesce abbastanza presto, con un po’ di allenamento, e si finisce per appassionarsi. Stupisce, certo, il fatto di seguire lo sviluppo di un libro in un modo tanto insolito. Alla fine, sia la trama del romanzo stampato (“La nave di Teseo”), che parla di uno uomo senza memoria che si imbarca su un vascello il cui equipaggio è quanto mai inquietante, sia l’indagine dei due studenti (lui cacciato dall’Università, in realtà, e in guerra con un professore, Moody, che conduce la sia stessa indagine su Straka) non si risolvono in modo chiaro e netto. Il che lascia un po’ perplessi, ma non delusi, viste le emozioni con cui siamo arrivati fin lì. Del resto, ideatore dell’operazione è proprio quell’Abrams a cui si deve (almeno in buona parte) la serie di “Lost”, un altro racconto innovativo con un finale che ha fatto discutere. C’è lo zampino di Abrams anche nel rilancio della saga di Star Wars: insomma, un nome da cui ci si aspettano idee in grado di stupire. Dal punto di vista pratico, poi, il lavoro è stato affidato a Doug Dost, al quale non si può che fare tanto di cappello. La confezione dell’oggetto è costituito da una sorta di scatola contenitore con i nomi dei veri autori e le indicazioni per la lettura, dentro alla quale c’è il finto libro d’antiquariato stampato con carta ingiallita e imbottito di documenti, lettere, giornali, fotografie, cartoline, biglietti, tutti del tutto credibili come veri e perfetti in ogni dettaglio (fare attenzione nel maneggiarlo).


venerdì 14 agosto 2015

JE SUIS CHARLIE



Autori Vari
JE SUIS CHARLIE
Edizioni Corriere della Sera
2015, brossourato
320 pagine, 4.90 euro

Subito dopo l'uscita di questo libro, alcuni disegnatori italiani (non so se anche stranieri) hanno protestato per aver visto pubblicato un loro lavoro, comparso in Rete, senza che ne fossero stati informati. Per quanto degno di nota, questo aspetto della questione non riguarda la qualità dei contenuti e dunque non è di questo che mi interessa parlare. Perché mi interessa di più testimoniare l'emozione forte con cui ho sfogliato pagina dopo pagina, con il cuore in gola. Indubbiamente uno dei più belli e significati esempi di satira disegnata della storia del mondo, per il numero di artisti coinvolti, per la brillantezza e l'efficacia delle loro opere, per ciò che esse significano dopo la strage compiuta dai terroristi nella sede del giornale francese "Charlie Hebdo". Tutti i disegnatori, in rappresentanza di decine di Paesi del mondo, si sono schierati in difesa della libertà e hanno pianto le vittime che hanno avuto il coraggio di difenderla ("meglio morire in piedi che vivere in ginocchio", diceva Charb, il direttore di "Charlie", ucciso nel massacro). Io, che mi sono angosciato per quella morte come per quella di un fratello (benché non leggessi la sua rivista e non lo conoscessi se non di fama), e ho trascorso notti insonni, vorrei che sempre gli uomini liberi fossero uniti come è successo nelle ore immediatamente seguenti l'attacco, e mi convinco che l'unico modo per non aver paura sarebbe sapere sempre di essere in tanti a condividere gli stessi ideali secondo i quali ogni uomo nasce libero e ha diritto alla vita e alla ricerca della felicità. Invece, quel che più mi dispiace (oltre all'assoluta certezza che purtroppo saremo costretti a vivere nel timore di nuove stragi e ci censureremo tutti, dandola vinta a chi vuol soffocare il nostro pensiero) è che subito dopo i fatti di Parigi già in mezzo a noi sono cominciati i distinguo. C'è chi ha sostenuto che Charb e gli altri se la sono cercata, chi addirittura continua a ribadire che gli attacchi alla religione vanno puniti. Chiunque stabilisca dei "se" e dei "ma" davanti a un omicidio, ne è complice. Non c'è disegno al mondo, qualunque cosa rappresenti, che possa provocare la messa a morte del suo autore. Se qualcosa ci sembra offensivo o blasfemo, si può evitare di leggerlo. Al limite si risponde con degli argomenti: a carta si contrappone carta. Ma uccidere? La questione non è che tipo di vignette pubblicasse Charlie, è il diritto di un giornale di proporre le idee che crede. Personalmente difenderò sempre qualunque giornale, non soltanto il giornale che scrive quel che penso io. Dispiace vedere tanta gente che invece reputa libertà soltanto la propria. Se si stabilisce il principio che non è lecito pubblicare quello che potrebbe offendere gli altri (o addirittura si accetti che chi lo fa possa essere massacrato), il mondo cadrà in mano ai permalosi. Tutto può essere offensivo, persino un sorriso interpretato male. Nel libro del Corriere c'è una sola voce fuori dal coro, che accusa "Charlie": quella di Joe Sacco. Io non condivido niente di quello che lui ha disegnato sulla strage, ma sono contento che abbia potuto liberamente farlo. Vorrei che a tutti fosse sempre consentito di fare altrettanto.

giovedì 13 agosto 2015

NON ABBIAMO ABBASTANZA PAURA



Vittorio Feltri
NON ABBIAMO ABBASTANZA PAURA
Mondadori
2015, cartonato
120 pagine, 17 euro

E' un dibattito in corso continuo, e sul quale spesso mi interrogo, quello fra chi ritiene che si debba aver paura del prendere piede di un certo modo di intendere l'Islam (destinato a sfociare fatalmente in uno scontro con l'Occidente e in una successiva sopraffazione della nostra società) e chi, viceversa, interpreta il terrorismo di marca jahidista una componente degenerata e minoritaria frutto dell'opera di pochi folli, che si devono contrastare senza che questo metta a rischio la convivenza amichevole tra le diverse culture. Il libro di Vittorio Feltri espone le ragioni del primo modo di pensare. Quotidianamente, capita di leggere o di ascoltare, viceversa, le ragioni di chi ha opinioni del tutto diverse (proprio in questi giorni, per esempio, sto leggendo Tiziano Terzani). La speranza, ovviamente, è che Feltri abbia torto. Indubbiamente ci sono alcuni passaggi che potrebbero essere condivisi anche da qualche detrattore del giornalista bergamasco. Il primo, rintracciabile quasi in apertura, è quello in cui si riferisce la triste marcia indietro della redazione di "Topolino" che, dopo aver anticipato una copertina in cui i personaggi disneyani mostravano le matite per solidarietà con la libertà di espressione grafica presa di mira dagli autori della strage di Parigi nel febbraio 2015, ha preferito non esporsi e ha sostituito il disegno coraggioso già mostrato con un altro anonimo e indifferente al problema. Un altro, sono le parole di un musulmano, il presidente egiziano al-Sisi, che ha detto: "E' inconcepibile che la dottrina da noi considerata maggiormente sacra, faccia in modo che la comunità islamica sia una fonte di ansietà, pericolo, uccisioni e distruzione per il resto del mondo". Credo si possa concludere che noi occidentali dovremmo provare a non avere paura, ma anche gli orientali dovrebbero cercare di non farcene.

mercoledì 12 agosto 2015

PAPER GIRLS


Stefano Babini
PAPER GIRLS
Edizioni Di
2014, brossurato, 
170 pagine, 30 euro

Più che da leggere, un libro da ammirare: perché questo si fa, sfogliando le pagine di questo catalogo di finire femminili filtrate dall'occhio innamorato della donna di Stefano Babini. Le si ammira, appunto, come quando si resta incantati, rapiti, dal fascino di una ragazza (di qualunque età) che passa per strada portandosi dietro il nostro sguardo. Un libro (quasi) senza parole, ma con illustrazioni che raccontano più di qualsiasi discorso. 

Pochi i nudi, ancor meno i gesti erotici (una mano che si infila sotto una mutandina, un corpo strusciato contro un palo), poi volti, mezzibusti, busti, rare figure intere. Sembra il catalogo di un fotografo che abbia girato a caccia di bellezza (non tanto di bellezze) per strada o nei locali, ma invece di essere armato di macchina fotografica Babini (Lugo di Romagna, 1964, artista senza vincoli prima che fumettista senza eroi) usa il pennello. O meglio, usa di tutto, perché poi le sue "paper girls" nascono dalla commistione fra china, acquarello, matite, pennarello, e chissà che altro. Materiali diversi, tecniche diverse, immagini abbozzate e non finite perché a finirle pensi lo spettatore. Soprattutto sguardi, dai quali filtra l'anima delle modelle, vere o immaginate, probabilmente immaginate vere. Le ragazze di carta rischiano di avere una marcia in più rispetto a quelle in carne e ossa perché ciascuno se le figura sulla base dei propri desideri. Ma quelle di Babini parlano dell'essenza della loro femminilità, qualcosa che sublima sia la carta che la carne. A corredo delle immagini, alcuni aforismi di celebri scrittori e una prefazione di Vincenzo Mollica.