lunedì 14 dicembre 2015

IL RITORNO DI SCHELETRINO



IL RITORNO DI SCHELETRINO 
di Alfredo Castelli, Mario Gomboli e Carlo Peroni
Edizioni Diabolik Club
2010 

Auspicavo il secondo volume delle avventure di Scheletrino, dopo aver letto il primo, pubblicato nel 1994 da Giancarlo Malagutti, che aveva raccolto tutte le storie del parodico criminale (forse dovrei scrivere "kriminale" con la kappa) scritte e disegnate da Alfredo Castelli tutto da solo (one man show), in una antologia che si fregiava di una copertina di Giorgio Cavazzano in cui comparivano, oltre a Scheletrino (evocato in realtà soltanto da un'ombra) anche Martin Mystère e Java. 

La prima serie di Scheletrino, quella appunto castelliana, va dal 1965 al 1967 (39 storie in tutto), apparse in appendice a Diabolik: si dice che le sorelle Giussani pubblicassero volentieri le tavole del giovanissimo Alfredo perché, essendo Scheletrino appunto raffigurato come uno scheletro, ritenevano che prendesse in giro principalmente il personaggio maggior concorrente del Re del Terrore, ovvero Kriminal. In realtà, Scheletrino prendeva in giro in generale tutti i "neri" italiani, i fumetti con la "K" (ma anche quelli con la X, la Y e J). Ma più in generale era un fumetto demenziale sulla falsariga di quelli che apparivano su Mad, e in linea con i primi fumetti satirici a sfondo sociale e anche politico, pur senza la pretesa di denunciare alcunché. Se inizialmente Scheletrino era un soltanto un ladro sfortunato,a cui vanno tutte male mentre a Diabolik vanno tutte bene, un po' alla Cattivik (che comunque è successivo), successivamente diventa un vero e proprio meta-fumetto, uno di quelli cioè in cui il protagonista sa di essere un eroe di carta e interagisce persino con i redattori della propria Casa editrice (uno dei suoi scopi è prendere il posto di Diabolik nel palinsesto della testata). 

Ma, a un certo punto, Castelli smette di realizzare le avventure del suo testa-di-scheletro, distratto da tante altre cose che aveva cominciato a fare. Così le Giussani chiesero a Mario Gomboli, amico di Alfredo e collaboratore della loro Casa editrice, di portare avanti lui la serie, visto che i lettori chiedevano il ritorno del personaggio. Gomboli accettò a patto che a disegnare le nuove avventure fosse un professionista, che fu facilmente individuato in Carlo Peroni, alias Perogatt. Un maestro del fumetto umoristico, con cui Castelli avrebbe realizzato la serie "La vacchia casa oscura" (che speriamo sia presto ristampata a sua volta). Così, Scheletrino rinasce nel luglio 1970 con disegni effettivamente più curati dello standard precedente. 

Le prime due storie del nuovo corso, in realtà, portano ancora la firma del BVZA. Poi, Gomboli e Perogatt imperversano da soli per altri tredici episodi, fino al luglio 1971. Poi anche Gomboli getta la spugna, non si sa bene per quale motivo (nella prefazione, lo stesso Gomboli non è molto chiaro: dice che Castelli "manifestò insofferenza" ma, nello stesso tempo, si dimostrò "disponibile" a lasciarlo proseguire, ma lui non volle). A corredo del volume, in appendice, un saggio di Roberto Altariva esamina criticamente tutta la vicenda editoriale di Scheletrino e fornisce alcune dritte su come interpretare passaggi e battute che forse venivano capite all'epoca ma che risultano criptiche oggi. 

Un solo appunto, al proposito: nella prima storia, si vedono varie proteste in tutto il mondo per ottenere il ritorno di Scheletrino e, per esempio, i manifestanti di destra agitano cartelli con su scritto "Scheletrino o morte!", i pacifisti gridano lo slogan "Fate Scheletrino e non la guerra", i figli dei fiori innalzano striscioni psichedelici, gli impiegati pubblici per protesta cominciano a lavorare (se scioperassero in favore di Scheletrino, sarebbe stata la norma), eccetera. Ma si nota anche Mao Tze Tung che, invece di fare il bagno nel fiume, rimane sdegnoso sulla riva e sembra non volere più nuotare finché Scheletrino non ricomparirà sulle pagine di Diabolik. Le note dicono che "il rifiuto del presidente Mao a esibirsi nella gara di nuoto, con tutta probabilità riecheggia il ventilato boicottaggio delle olimpiadi messicane del 1968 da parte degli atleti di colore degli Stati Uniti". Secondo me, il collegamento più immediato è invece proprio con Mao che per tradizione e in chiave propagandistica si faceva fotografare ogni anno a guazzo nel fiume Yangtze in ricordo di quando, il 16 luglio 1966, aveva attraversato a nuoto il Fiume Giallo all'altezza di Wuhan, per tornare a Pechino a guidare la rivoluzione. Qualche anno dopo, esaminando l'ultima foto che raffigurava la tradizionale nuotata, in Occidente si scoprì che si trattava di un fotomontaggio: il vecchio leader non gliela faceva più, ma la propaganda esigeva che si dimostrasse al mondo come il Libretto Rosso mantenesse giovani e vispi. Anche Magnue & Bunker, in un loro Alan Ford, mostrano Mao nuotare in un fiume e affogare.

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