martedì 8 dicembre 2015

LA VITA DI GESU'



LA VITA DI GESU'
di Autore Anonimo
Unione Giovanile Cattolica
anni Venti
ristampa anastatica RBA
2012

Si tratta di un volume cartonato in formato orizzontale, riprodotto fedelmente in tutte le sue novanta pagine, più copertina, dalla RBA, nell'ambito della benemerita raccolta "La Biblioteca dei Ricordo" (distribuita in edicola ma, purtroppo, di breve durata). L'aspetto del libro è dunque esattamente quello in cui venne distribuito all'inizio del Novecento, in ambito parrocchiale, nelle Scuole e in famiglia: non contiene i quattro Vangeli, ma una sorta di loro "novelization" realizzata da uno scrittore non particolarmente talentuoso, incline anzi a dar prova di umorismo involontario e a infarcire la sua prosa di sgradevolezze lessicali, ripetizioni e dialettalismi. Lo scopo della pubblicazione è chiaramente quello catechistico e di proselitismo confessionale, e il target è quello dei ragazzi delle scuole elementari, tant'è vero che la collana di cui faceva parte si chiamava "Per la cultura religiosa dei bambini". Ogni due pagine ci sono bellissime illustrazioni in bianco e nero, ispirate a famose opere d'arte. La lettura riesce a dare il senso di un'epoca, vicina e lontana al tempo stesso, a calare in una diversa realtà sociale e culturale. 

Il narratore, che preferisce restare anonimo e si definisce soltanto "un amico" dei suoi giovanissimi lettori, si attiene al "grado zero" dell'affabulazione e quando deve trarre la morale da ciò che racconta punta all'indottrinamento spicciolo della predicazione di un tempo, basato sui sensi di colpa, la paura dell'inferno, l'obbedienza al clero. 

Il racconto comincia con la spiegazione del Peccato Originale, in ragione del quale si sarebbe resa necessaria la Redenzione (con l'Incarnazione del Figlio di Dio). "Iddio è onnipotente e può fare quello che vuole", è la premessa. Vuole pertanto creare il mondo, che prima non esisteva, ma Adamo ed Eva gli disubbidirono e commisero "un grande peccato" (quale, non è dato sapere) "e poi quasi tutte le altre persone che vennero al mondo disubbidivano al Signore e commettevano tanti peccati, sicché quasi tutte, quando morivano, andavano all'Inferno. Il Paradiso era chiuso e non ci poteva entrare più nessuno". A me, come bambino, sarebbe venuto da chiedermi dove andavano quei pochi che non commettevano peccati, dato che "quasi tutti" andavano all'Inferno, ma qualcuno no, però il Paradiso era "chiuso". Un altro dubbio che sicuramente mi sarebbe venuto è questo: se Iddio "può fare quello che vuole", evidentemente è stato lui a chiudere il Paradiso (non si certo chiuso da sé o contro la sua volontà), dunque gli sarebbe bastato un cenno del capo per riaprirlo, dimenticando il passato e facendo un po' meno l'offeso, per risolvere la faccenda senza tante complicazioni. Ma nel testo non c'è nessun accenno di soluzione per questi dubbi (ed è probabile che i dubbi stessi siano, anzi, parte del "grande peccato"). 

Altre domande uno se le potrebbe porre ascoltando il racconto dell'Annunciazione: "Dove si poteva trovare, sulla terra, una donna tanto pura e tanto santa, che potesse diventare la madre di Dio? Sembrava che non si potesse trovare. Ma il Signore, dal Paradiso, guardò tutti i paesi del mondo e vide che in un paese, che si chiamava Nazaret, c'era una giovinetta più buona e più santa di tutte le altre giovinette del mondo. Essa si chiana Maria, e S.Giuseppe era il suo sposo". Al che, Dio manda l'Arcangelo Gabriele. Ma se S.Giuseppe era il suo sposo, allora Maria era già sposata, quando arriva l'angelo. E dunque, non era vergine? Inoltre non sfugga il fatto che non si accenna al popolo ebraico come quello eletto, quello destinato fin dai tempi di Abramo a dare al mondo il Messia: i Vangeli, eppure, ne parlano. Fedele all'antisemitismo tipico della sua epoca (e di quelle precedenti), l'autore fa credere ai lettori che Nazaret fosse un paese come un altro, e che Maria era nata lì per caso, avrebbe potuto essere nata anche a Pizzighettone, e allora invece che di Gesù di Nazaret parleremmo di Gesù di Pizzighettone. 

L'umorismo involontario si scatena la prima volta quando il narratore racconta la nascita di Gesù, che come sappiamo fu deposto in una mangiatoia. "Gesù soffriva molto, perché aveva freddo e perché la paglia lo pungeva, ma soffriva volentieri perché voleva salvare tutti gli uomini con le sue sofferenze". Ecco, passi per il freddo, ma che tra le sofferenze di Gesù ci fosse anche il contatto con la paglia pungente, a me fa sorridere. Del resto, il martirio continua poco dopo: "Nel paese dove nacque Gesù c'era un costume (perché così aveva comandato il Signore) che ad ogni bambino, otto giorni dopo che era nato, si doveva fare una piccola ferita rotonda nella carne e il bambino versava un po' di sangue. Questa cerimonia si chiamava 'circoncisione'. Anche al Bambino Gesù dunque, otto giorni dopo che era nato, si fece la circoncisione ed egli soffriva, perché la carne era ferita e versava sangue; ma soffriva volentieri per amor nostro". Ecco, al di là della buffa descrizione della cerimonia, che non dice dove si eseguiva il taglietto e perché, se io fossi stato un bambino dell'epoca mi sarei chiesto perché mai il Signore avesse "comandato" (di sua iniziativa, a quanto pare) che si facesse così, e che dunque tutti i poveri bambini dovessero soffrire. Il fatto che soffrisse anche Gesù, in questo caso, mi sarebbe sembrata un po' colpa del Padreterno, più che nostra. E insomma, anche in questo caso, sai che sofferenza: capisco la croce, ma dato che il mondo è pieno di circoncisi ancora oggi, forse il patimento è sopportabile. 

Sorvoliamo sulla strage degli innocenti che forse si sarebbe potuta evitare senza la stella cometa (che fu, bisogna dirlo, un'imprudenza), e arriviamo alla parabola del ricco Epulone. Ci viene spiegato che costui va all'Inferno perché "aveva goduto tanto quando stava al mondo: aveva mangiato, bevuto e ballato e fatto tanti peccati", mentre il povero Lazzaro, che mendicava davanti alla sua porta, va in Paradiso perché, dopo aver tanto sofferto, adesso poteva godersi la gioia eterna. Colpisce la disparità tra il delitto e la pena, così come fra il danno e la ricompensa: per alcuni anni di gozzoviglie (certo imperdonabili), Epulone viene condannato a bruciare nel fuoco per l'eternità! Cioè, non per mille anni, ma per sempre. E Lazzaro, per aver patito qualche decennio, eccolo godere per tutti i secoli dei secoli. Qualunque avvocato potrebbe impugnare la sentenza, se le cose stessero così. E' chiaro che il racconto evangelico allude (spero) a significati più profondi, a cui però la nostra "Vita di Gesù" ci nega l'accesso. Anzi, trae questa morale: "Questa parabola la raccontava Gesù per far comprendere che dopo questa vita c'è veramente il Paradiso per quelli che sono stati buoni, e l'Inferno per quelli che sono stati cattivi. Lo dobbiamo credere perché l'ha detto Gesù e lo dice il Papa, lo dicono i Vescovi e lo dicono i Sacerdoti che sono stati mandati da Dio". Non mi dilungo oltre, il senso è chiaro. Basterà solo citare un passaggio del fervorino finale: "Perché a Gesù, che ti vuole tanto bene, gli fai tanto dispiacere e gli ferisci il cuore con le tue cattiverie?". Ecco, se io fossi un uomo di fede e volessi provare a spiegare il Vangelo, non farei discorsi del genere ma tenderei a spiegare come Gesù possa essere un maestro di vita e, soprattutto, possa riempire il cuore di gioia. Niente sensi di colpa, che così tanto ancora oggi mi affliggono, dai tempi del mio catechismo.

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