mercoledì 4 aprile 2018

UNA QUESTIONE PRIVATA





Beppe Fenoglio
UNA QUESTIONE PRIVATA
Einaudi
2014, brossurato
130 pagine, 12 euro

"Chi non legge avrà vissuto una sola vita, la propria", scrisse Umberto Eco. Chi legge, invece, potrà vivere anche pezzi di quelle altrui, distribuite sull'arco di tremila anni di storia della letteratura. E' questa la sensazione che rimane al termine del romanzo "Una questione privata" di Beppe Fenoglio. Leggendolo, è come aver visto con gli occhi del protagonista, il partigiano badigliano Milton, uno squarcio della guerra civile combattuta attorno ad Alba durante la Resistenza. Calarsi nei panni di uno che c'è stato davvero, in un certo tempo e in un certo luogo (come c'è stato Fenoglio, partigiano a partire dal gennaio del 1944), vuol dire però vedere gli avvenimenti con occhi diversi da quelli di chi scrive i libri di storia. Vuol dire combattere anche per "questioni private", vedere la guerra dalla parte della gente comune, assistere a drammi e crudeltà spicciole e quotidiane che sfuggono alle analisi statitistiche, ideologiche e dei massimi sistemi. Milton, passando davanti alla casa ormai abbandonata (gli abitanti sono sfollati) della ragazza di cui è innamorato, Fulvia (anch'essa fuggita), viene a sapere dalla donna che fa da custode dell'edificio che la giovane aveva una tresca con Giorgio, un amico di Milton, partigiano anche lui. Milton decide di scoprire se è vero: vuol chiederne conto a Giorgio. Ma Giorgio è stato catturato dai fascisti, probabilmente verrà processato e fucilato. Bisogna liberarlo. Milton crede di poterci riuscire catturando un ufficiale nemico e proponendo uno scambio. Ma lo fa soprattutto, appunto, per una "questione privata". Come privata è la diatriba fra due popolane, una fascista e una simpatizzante per i partigiani, la seconda delle quali denuncia la prima a Milton come amante di un sergente camicia nera che il partigiano riesce in effetti a far prigioniero mentre fa visita alla donna. L'uomo però muore e la sua uccisione fa scattare la rappresaglia fascista contro due giovanissime staffette della Resistenza, di appena quattordici anni, fatte prigioniere in precedenza. Del resto, non è che i partigiani stessi, stando a Fenoglio, facessero sconti: Milton è un partigiano "azzurro" e a un certo punto si reca dai "rossi" a chiedere "in prestito" un ostaggio da scambiare con Giorgio. I Rossi non ce l'hanno perché loro i fascisti li fucilano subito (anzi, il prete chiamato per confessare la loro ultima vittima si lamenta di doverlo fare sempre lui, e chiede che qualche volta tocchi a un suo collega). Insomma, la tensione, i drammi, gli episodi sono tanti, tutti coinvolgenti e sconvolgenti, tutti vissuti da gente comune, da combattenti semplici, nella quotidianità di una guerra così vicina (neppure vent'anni prima che nascessi io) da non sembrar vero. Il romanzo non si conclude: finisce in modo brusco (Milton fugge inseguito dalle pallottole nemiche) ma non serve una conclusione diversa, ha già capito che la verità è nelle cose che ha capito, che ha saputo, e cioè che Fulvia l'ha tradito con Giorgio, oppure che neppure si è trattato di un tradimento, perché promesse d'amore non ce n'erano mai state. La vita è fatta di questioni private. Sul fatto che il libro sia incompiuto c'è una lunga diatriba critica: di sicuro uscì postumo nel 1963 dopo la prematura morte di Fenoglio, che in vita aveva dato alle stampe soltanto tre altri romanzi. Aveva scritto che dopo quest'ultimo lavoro avrebbe detto "basta" ai partigiani, e si sarebbe dedicato ad altre tematiche. Non fece in tempo in farlo. La conclusione manca volutamente o la morte dell'autore ne ha imposta una, incerta come incerta è la vita?

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